Equo compenso alla ribalta.

In occasione del convegno organizzato da Confprofessioni Lazio il 19 luglio scorso presso il Tempio di Adriano, IL LAVORO AUTONOMO DOPO L’APPROVAZIONE DELLO STATUTO: COSA CAMBIA, COSA MANCA, si è fatto il punto sulle opportunità aperte dallo Statuto del lavoro autonomo (D. Lgs. 81/2017) e sulle possibili ed auspicabili migliorie, senza dimenticare il tema dell’equo compenso, escluso dal suddetto decreto per ragioni di opportunità, ma tornato in auge con diverse proposte parlamentari tra cui il DDL Sacconi in discussione in questi giorni in Senato.

Nell’ambito delle tre tavole rotonde che hanno visto confrontarsi politici ed addetti ai lavori, con la chiusura del ministro Poletti, è stata sottolineata l’importanza di aver aperto una strada, senza la presunzione di essere ad un punto di arrivo ma piuttosto di partenza, e di aver finalmente realizzato un documento organico sul lavoro autonomo.

Sul tema dell’equo compenso è stata sottolineata la stortura di un sistema che sta stritolando i professionisti, oltre alla necessità di individuare degli strumenti che non ingessino il sistema e consentano di interpretare le diversissime declinazioni della libera professione, sia dal punto di vista delle diverse aree tematiche che dell’appartenenza ordinistica o meno, e quindi dell’esercizio sotto riserva di legge e non.

Primo punto sostenuto da tutti gli intervenuti è che debba anzitutto farsi parte diligente in merito la Pubblica Amministrazione che attualmente continua ad affidare incarichi al massimo ribasso, e a non rispettare i termini di pagamento in modo da divenire esempio di “best practice”.

Ciò che indubbiamente è apparso chiaro è la complessità della traduzione normativa del concetto di “equo compenso”.

Già nel D. Lgs. 81/2017, seppur non si tratti il tema dell’equo compenso, esistono degli elementi di tutela rispetto all’ “abuso di dipendenza economica”, quali il divieto di rescindere un contratto senza adeguato preavviso, di prevedere termini di pagamento superiori ai 60 giorni, oltre al rimando alla L. 192/1998 che definisce “abuso di dipendenza economica” “l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose”, ma se è per questo l’art. 36 della Costituzione, da molto più tempo, definisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” eppure siamo giunti alla situazione attuale.

Appare quindi chiaro che, sebbene il principio sia sancito da sempre, l’applicazione sia sempre più latitante e quel che si rileva è che l’impostazione normativa in essere propone un riferimento all’equo compenso sempre in sede di contenzioso mentre ciò che è necessario per la tutela del lavoro professionale è che il compenso sia in partenza corretto e commisurato alla prestazione da eseguirsi.

Ciò che va rinforzato è senz’altro il concetto del valore della prestazione professionale che, nel caso particolare delle professioni tecniche, è precisamente normata nei suoi contenuti (elaborati da produrre, pareri da ottenere, verifiche da effettuare); la responsabilità che si accompagna ad un atto progettuale o di direzione lavori non prevede che si possa prescindere dalla correttezza della prestazione, perché ciò discende direttamente dalla preparazione tecnica di ciascuno e dalla rispondenza ad un codice deontologico, pertanto un progetto non potrà essere un cattivo progetto perché pagato poco, come pure non diventerà un progetto ottimo perché strapagato, il progetto dovrà sempre e comunque risolvere nel modo corretto il problema per cui è stato richiesto.

Su questa base il compenso deve essere commisurato alla prestazione, comunque lo si voglia determinare: con soglie di riferimento percentuali, valutazioni orarie associate a capitolati prestazionali o altro.

La leva che la normativa deve attivare è quella dell’equità, non tanto, o non solo, nel senso del compenso ma nel senso del rapporto tra le parti che stipulano il contratto: committente e professionista; indubbiamente il professionista è parte debole quando contratta con la Pubblica Amministrazione o con l’Impresa, per contro potrebbe verificarsi il caso che il Committente singolo/utente finale sia parte debole nei confronti del professionista.  Lo strumento legislativo dovrebbe riportare il rapporto sulla parità garantendo così la soddisfazione di tutte le parti.

Per quanto riguarda l’evoluzione del Jobs Act Autonomi quindi, considerando che:

– il D. Lgs. 81/2015, che doveva fare chiarezza su chi fossero i veri lavoratori autonomi rispetto a delle partite IVA monocliente, troppo spesso più vicine ad un dipendente senza tutele che ad un libero professionista, non si applica alle professioni ordinistiche;

– a fronte delle agevolazioni fiscali introdotte dal D. Lgs 81/2017, dal 01.07.2017 è entrato in vigore lo split payment per i professionisti, unici soggetti economici ad essere ora soggetti sia a ritenuta d’acconto che a scissione dei pagamenti (-42% direttamente alla fatturazione);

– le rendite dei patrimoni delle Casse di Previdenza dei professionisti sono ancora tassati come qualsiasi investimento finanziario;

il tavolo di lavoro che verrà istituito ai sensi dell’art. 17 avrà molto da fare per aggiungere quel “cosa manca” al D. Lgs. 81/2017 e renderlo davvero un documento completo sul lavoro autonomo; si parte comunque da una base che è finalmente segno di attenzione per la libera professione, confidiamo verso una vera valorizzazione.

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inarsind