Audizione di Confprofessioni, Ing. Mauro Iacumin, presso la VIIIª Commissione “Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici” della Camera dei Deputati, sullo Schema di decreto legislativo recante: “Disposizioni integrative e correttive al Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (A.G. n. 226)
3 dicembre 2024
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Onorevole Presidente, Onorevoli Deputati,
desidero esprimere il ringraziamento di Confprofessioni per l’opportunità di esporre la visione dei professionisti italiani sullo schema di decreto legislativo al Vostro esame, che mira a fornire chiarimenti ai dubbi interpretativi emersi, in sede applicativa, dopo il primo anno di vita del nuovo Codice: si tratta, in molti casi, di esigenze rilevanti anche del comparto professionale, espresse a più riprese nei mesi scorsi.
Confprofessioni, attraverso le proprie associazioni dell’area tecnica, segue con estrema attenzione l’evoluzione della disciplina del Codice dei contratti pubblici e ha preso parte – con le altre parti sociali e associazioni interessate – alle riunioni del Tavolo tecnico di consultazione sul nuovo Codice degli appalti. Abbiamo altresì partecipato alla “consultazione digitale”, sempre proposta dal MIT, inviando il nostro contributo di idee e proposte. Ed abbiamo, inoltre, preso parte ai cicli di audizione svolti sul tema dal Parlamento.
Infatti, il Codice dei contratti pubblici rappresenta l’infrastruttura normativa su cui poggia l’attuazione delle opere pubbliche, e il nostro Paese non può permettersi disfunzioni derivanti dalle imperfezioni di questa impalcatura o scelte che implichino complicazioni nella realizzazione delle opere.
Fino ad oggi, il recepimento delle direttive europee in tema di contratti pubblici ha consentito all’Italia di ridurre drasticamente l’opacità e i fenomeni di corruzione che avevano caratterizzato i lavori pubblici nel recente passato. La leale concorrenza è quindi diventata il “metodo” per il conseguimento di risultati oggettivi e verificabili. Nella trama del Codice si ravvede, pertanto, lo sforzo della ricerca di un equilibrio tra esigenze a volte contrapposte, come la semplificazione delle procedure e la celerità dell’affidamento e dell’esecuzione dell’opera, da un lato, e la legalità e la trasparenza dall’altro.
Pur condividendo l’obiettivo del provvedimento al Vostro esame di introdurre alcune correzioni a sostegno degli investimenti pubblici, razionalizzando e semplificando la disciplina del Codice, vogliamo richiamare la Vostra attenzione su alcuni profili che riteniamo meritevoli di approfondimento, sia per garantire la qualità del progetto durante tutte le sue fasi, sia per assicurare la doverosa dignità del lavoro dei professionisti tecnici, il cui ruolo in questo ambito è determinante, sebbene troppo spesso marginalizzato.
- Equo compenso
È allora necessario prendere le mosse dalla questione fin qui più dibattuta – e per noi professionisti determinante – relativa all’equo compenso delle prestazioni professionali rese nell’ambito dei contratti pubblici.
Diciamo subito che, a nostro avviso, non sarebbe servito alcun intervento chiarificatore: la formulazione dell’art. 8 del Codice – secondo cui, salvo casi eccezionali, «la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso» – offre una risposta chiara ed univoca ai dubbi emersi circa l’applicabilità della disciplina dell’equo compenso alle prestazioni rese nell’ambito di appalti pubblici. Una formulazione tanto più esplicita se letta in coordinamento con la legge sull’equo compenso (l. 49/2023), la quale afferma espressamente la sua piena applicabilità alle pubbliche amministrazioni. Il quadro normativo vigente fa dunque propendere per la piena applicabilità delle garanzie dell’equo compenso anche ai contratti pubblici.
E tuttavia, siamo tutti consapevoli del confronto che si è aperto sul punto, e che ha coinvolto la giurisdizione (invero schierata a larga maggioranza nel senso ora riferito) e l’ANAC, le cui osservazioni sul punto sono state sinusoidali e poco intellegibili. In uno dei suoi più recenti pareri, l’ANAC esclude, in linea di massima, che i contratti pubblici siano inquadrabili come rapporti connotati da asimmetria tra contraente e professionista, escludendoli pertanto dalla garanzia dell’equo compenso: è un’opinione stupefacente! Tutto al contrario, i contratti pubblici, e in particolare nel caso della fornitura di servizi di ingegneria e architettura, sono l’esempio emblematico di un’asimmetria tra le parti che deve dar luogo all’applicazione della garanzia dell’equo compenso. Altrimenti, il valore della nuova legge sull’equo compenso, fortemente richiesta dalla categoria e voluta da tutti i partiti, rischierebbe di perdersi nel nulla.
Queste resistenze alla piena applicazione della legge sull’equo compenso nell’ambito dei contratti pubblici ha determinato l’esigenza di un intervento chiarificatore, che trova spazio nel decreto al Vostro esame.
Lo schema di decreto legislativo introduce i nuovi commi 15-bis, 15-ter e 15-quater all’art. 41 del Codice, definendo i criteri dei ribassi sul corrispettivo da attuarsi sia in caso di offerta economicamente più vantaggiosa, sia in caso di affidamento diretto.
La stazione appaltante procede, in particolare, all’aggiudicazione sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo nel rispetto dei seguenti criteri:
- Applicazione di uno sconto massimo del 35% sull’importo a base di gara;
- Punteggio massimo attribuibile all’offerta economica pari a 30 punti.
Mentre, per quanto riguarda gli affidamenti diretti, è prevista la possibilità di applicare uno sconto sull’importo a base di gara che può raggiungere al massimo il 20%.
Su questa formulazione la nostra opinione è netta: per impedire possibili abusi a danno dei professionisti, Confprofessioni chiede che il principio dell’equo compenso, sancito dalla l. 49/2023, sia espressamente confermato nell’applicazione del Codice degli appalti, valorizzando il rinvio già contenuto nell’art. 8 del Codice, e chiarendone in modo inequivoco la portata normativa. Conseguentemente, andrebbe prevista in maniera esplicita, per le gare di servizi di ingegneria e architettura, l’applicabilità di ribassi solo sulle spese accessorie, fermi restando i parametri stabiliti quale misura dell’equo compenso.
Ed infatti, le spese accessorie corrispondono, indicativamente, a circa il 20% dell’importo totale a base di gara. È una quantificazione dei ribassi ragionevole, già introdotta recentemente nelle Regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta, e recepita dalle stazioni appaltanti nella predisposizione dei bandi di gara. L’indicazione che proponiamo è dunque rispettosa del testo della legge e della volontà espressa da questo Parlamento con l’adozione della legge sull’equo compenso, ed è diretta alla massima garanzia e tutela della qualità dell’opera, progettata, diretta e collaudata nell’interesse, anzitutto, delle stazioni appaltanti e dei cittadini.
Coerentemente con questo obiettivo, riteniamo che nel caso di appalto assegnato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il peso dell’offerta economica non debba superare il 20%. Questo, anche allo scopo di disincentivare la corsa all’appiattimento verso il basso dell’offerta economica – prassi ben nota in questo settore, che in passato ha condotto ad abusi, con il sostanziale svuotamento di questa componente dell’offerta.
Resta peraltro inevaso il problema della determinazione dei compensi dei professionisti coinvolti, a diverso titolo, in lavori e forniture diverse da quelle inerenti i servizi di ingegneria e architettura, che sulla base della normativa qui proposta non trova alcuna soluzione.
- Responsabile unico del progetto
Lo schema di decreto non interviene sull’articolo 15 del Codice dei contratti, che, nel disciplinare la figura del RUP, dispone che le risorse finanziarie impiegate per gli incarichi diretti di assistenza non devono superare l’1% dell’importo posto a base di gara.
Ora, è evidente che la previsione di questo limite percentuale rischia di porsi in contrasto con la normativa sull’equo compenso di cui alla l. 49/2023.
Proponiamo, pertanto, che all’art. 15, comma 6, sia eliminato il seguente periodo: «… e possono destinare risorse finanziarie non superiori all’1 per cento dell’importo posto a base di gara per l’affidamento diretto da parte del RUP di incarichi di assistenza al medesimo». Riteniamo, infatti, che la funzione di supporto al RUP vada ricondotta nell’ambito dell’equo compenso previsto dalle tabelle professionali di affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, nei limiti definiti dell’affidamento diretto.
- Appalto integrato
La modifica introdotta dall’art. 11 dello schema di decreto non è soddisfacente. Ed infatti, si interviene, correttamente, nella definizione degli indirizzi tecnici per lo sviluppo del progetto di fattibilità tecnica ed economica, da porre a base di gara per l’affidamento del contratto di progettazione esecutiva e di esecuzione dei lavori; ma non viene rivalutato lo strumento dell’appalto integrato, come richiesto da tutte le associazioni dei professionisti dell’area tecnica.
Infatti l’art. 59 del citato Decreto 50/2016 vietava in toto il ricorso a tale tipologia di affidamento, che in precedenza aveva portato ad allungamenti dei tempi di esecuzione e a maggiorazione dei costi complessivi delle opere. L’attuale formulazione del Codice non circoscrive in modo chiaro l’ambito di applicazione dell’appalto integrato, permettendo alla stazione appaltante l’utilizzo di tale strumento adducendo tale scelta semplicemente “con riferimento alle esigenze tecniche, tenendo sempre conto del rischio di eventuali scostamenti di costo nella fase esecutiva rispetto a quanto contrattualmente previsto”.
Confprofessioni suggerisce di prevedere che l’affidamento mediante appalto integrato (progettazione ed esecuzione) sia motivato “in ragione dell’elevato contenuto tecnologico delle opere da eseguire e alle esigenze di innovazione integrata tra progettazione”, quindi ai soli appalti di lavori complessi di cui all’art. 2 lett. d) dell’Allegato I.1 di valore superiore alla soglia europea di cui all’art. 14 del Codice dei contratti.
Lo stesso ANAC, nel suo rapporto del 2023 al Parlamento, ne richiedeva la sua applicazione limitatamente alle opere dove ci possano essere peculiarità e vantaggi.
Si richiama, infine, l’attenzione del legislatore sulla necessità di introdurre limiti agli aumenti di costi nella fase esecutiva, tenuto conto delle disfunzioni frequentemente riscontrate negli appalti integrati in termini di incrementi di costo e varianti.
- Accordi quadro
Anche in tema di accordi quadro, le modifiche qui proposte non sono in linea con le osservazioni che abbiamo svolto in recenti occasioni di interlocuzione: rimane inalterato, in particolare, il mancato coordinamento tra l’articolo 59 e l’art. 58 del Codice, che promuove – in aderenza ai principi europei – la suddivisione in lotti per favorire le imprese piccole e medie. Si tratta di un modello che era stato previsto per soddisfare le esigenze di acquisto standardizzate, ma l’Accordo quadro oggi viene ampiamente utilizzato per affidare i servizi di ingegneria e architettura che, per loro natura, sono servizi intellettuali e non standardizzabili. Si fuoriesce, in tal modo, dal libero mercato e si accede ad un mercato secondario dove i grandi player si aggiudicano gli accordi, per poi girarli, in lotti di ridotta dimensione, ai liberi professionisti. Il mantenimento in essere di questa prassi può portare al mancato rispetto del principio dell’equo compenso, sul mercato secondario, e ad un conseguente impoverimento nel controllo della progettazione. Pertanto il ricorso all’Accordo quadro per l’affidamento dei servizi intellettuali dovrebbe essere fortemente limitato.
Suggeriamo, quindi, di aggiungere al comma 1 dell’articolo 59 del Codice, il seguente paragrafo: «Relativamente ai servizi di ingegneria ed architettura, può essere previsto solo per attività di manutenzione ordinaria e comunque per attività progettuali che presentino i connotati della evidente ripetitività».
- Criteri per l’applicazione dei contratti collettivi
Esprimiamo il nostro apprezzamento in merito all’art 2, comma 5, dell’Allegato I.01, introdotto dall’articolo 63 del decreto al Vostro esame. Questo prevede che, ai fini della verifica delle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, sia valorizzata la presenza dei rappresentati delle stesse all’interno del Consiglio del CNEL, organismo di rilievo costituzionale, sede dell’Archivio Nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, che contribuisce all’elaborazione della legislazione economica e sociale.
Con riguardo alla valutazione di equivalenza di cui all’art. 4, commi 3 e 4 dell’Allegato I.01, suggeriamo di rafforzare l’incidenza delle tutele normative, attribuendo loro dignità pari a quelle economiche. Si ritiene necessario, quantomeno, definire più accuratamente quelli che nell’attuale testo sono definiti “scostamenti marginali” dei parametri guida per l’equivalenza delle tutele normative, quali la disciplina della bilateralità, la previdenza e la sanità integrativa, e dunque, le tutele di welfare. Queste ultime in particolare, rivestono un valore fondamentale nella tutela dei lavoratori garantita dai contratti collettivi. È infatti importante salvaguardare il complesso delle misure garantite dai sistemi di bilateralità, frutto di accurata concertazione tra le parti sociali, ed è opportuno evitare scostamenti, seppur marginali, da quanto sancito dai contratti collettivi, al fine di non vanificare quanto pattuito dagli organismi paritetici, espressione per definizione di terzietà e tutela di tutte le parti coinvolte nel rapporto di lavoro.
6. Requisiti tecnico-economici
In tema di gare, è condivisibile l’ampliamento dei requisiti tecnico-economici previsti per gli appalti di servizi ingegneria e architettura, come previsto dall’art. 25 dello schema di decreto.
Le statistiche dimostrano come il limite dei tre anni impediva la partecipazione a gran parte dei liberi professionisti. Una limitazione che non comporta alcun vantaggio alla qualità dell’offerta, mentre limita la concorrenza, a svantaggio anzitutto dell’ente appaltante.
Non ha trovato spazio, invece, una previsione analoga relativa ai requisiti dei tecnici appartenenti alla P.A. che possono svolgere progettazione interna alle amministrazioni aggiudicatrici. Ci chiediamo perché i soggetti interni alla P.A non debbano dimostrare gli stessi requisiti richiesti ai professionisti esterni per lo svolgimento di servizi analoghi; nello specifico il possesso di idonee qualifiche, referenze, capacità tecnico-professionali, attrezzature e mezzi.
Confprofessioni ha già specificato più volte l’esigenza imprescindibile che le tre fasi di un’opera pubblica siano affidate ad attori ben distinti: i tecnici della P.A. sono competenti per le attività di pianificazione e programmazione delle opere pubbliche, mentre è compito dei liberi professionisti l’esecuzione dei servizi di ingegneria ed architettura, ed alle imprese spetta la realizzazione delle opere.
Senza un accurato rispetto di questa demarcazione dei ruoli, non si consegue né trasparenza né efficienza, obiettivi strategici in questo settore.
7. Direzione lavori e collaudo
Ecco perché ci lascia fortemente insoddisfatti la scelta operata nello schema di decreto di non prevede modifiche agli articoli 114 e 116 del Codice, che – rispettivamente ai commi 4 dell’art. 114 e 6 dell’art. 116 – riservano ai dipendenti della pubblica amministrazione lo svolgimento di attività fondamentali nell’economia di un appalto, quali la direzione lavori e il collaudo.
Tale impostazione si scontra, a nostro avviso, con una razionale distribuzione dei compiti e delle responsabilità relative all’esecuzione dell’opera, e sottrae ai liberi professionisti attività e spazi di mercato rilevanti, a discapito del principio di libertà di accesso e concorrenza sancito dal nuovo Codice, oberando le amministrazioni di ulteriori compiti che spesso non hanno la capacità funzionale e le risorse sufficienti per soddisfare.
Proponiamo pertanto che la direzione lavori ed il collaudo siano riservati preferibilmente ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni solo in assenza di lavori complessi e di rischi di interferenze.
Inoltre, anche alla luce delle responsabilità che sempre più spesso vengono, in sede giudiziaria, imputate al direttore dei lavori, dovrebbe essere chiarito nell’art. 114 del Codice che il direttore dei lavori rappresenta il garante della totalità dei lavori, di modo che tutte le attività di realizzazione, ivi comprese le varianti migliorative proposte dall’appaltatore, devono essere presidiate ed approvate da questa figura.
Più in generale, il ruolo di direzione dei lavori – per quanto fin qui detto e allo scopo di evitare stravolgimenti del progetto con conseguenti maggiori costi e incrementi della tempistica – dovrebbe, di norma, essere svolto dal progettista stesso dell’opera.
- Subappalto
Con riferimento alle modifiche in tema di subappalto, il nostro parere è positivo. Tuttavia, esse rimangono indirizzate al subappalto per le imprese appaltatrici ed esecutrici. Per quanto riguarda i servizi tecnici, nel previgente D.M. 50/2016 era vietato il subappalto delle prestazioni di ingegneri e architetti. Il nuovo Codice si limita a vietarlo in maniera integrale, incaricando le stazioni appaltanti di indicare, motivando, quali prestazioni del contratto siano da eseguire a cura dell’aggiudicatario in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto.
Dobbiamo allora chiarire che nel nostro settore il subappalto dequalifica la libera professione, consentendo di trasformare il lavoro autonomo in lavoro subordinato, con un mercato al massimo ribasso e potendo portare ad una minore qualità del progetto.
Conseguentemente, proponiamo di limitare il subappalto nelle prestazioni di servizi di ingegneria e architettura alle sole prestazioni specialistiche (per esempio acustica e prevenzione incendi), incaricando le stazioni appaltanti di indicare quali siano le prestazioni subappaltabili e che debbano essere dichiarate dall’operatore economico in fase di gara.
9. Collegio Consultivo Tecnico
Con riferimento al Collegio Consultivo Tecnico, le modifiche che si vogliono introdurre con il decreto al Vostro esame non risolvono molte criticità presenti nella disciplina vigente. Ci riferiamo, nel dettaglio ai seguenti profili:
- possibile conflitto con i compiti di Direzione dei Lavori e di Collaudo in corso d’opera su decisioni da adottare durante la fase di esecuzione dei lavori (a mero titolo esemplificativo: le decisioni che riguardano le scelte dei materiali);
- possibile contrasto con le norme che regolano le procedure di Accordo Bonario per le controversie sulle riserve iscritte dall’Appaltatore sul Registro di Contabilità;
- incongruenze sui compensi ai membri del CCT;
- limite di non più di cinque incarichi in contemporanea.
Inoltre, al fine di prevenire l’insorgere di contenzioso, che è peraltro la finalità dell’istituto del CCT, e salvaguardare i tempi di realizzazione dell’opera, è necessario chiarire che laddove sorga un contrasto tra le decisioni della DL e quelle del CCT, sono queste ultime a prevalere.
Ci permettiamo, pertanto, di suggerire le seguenti integrazioni:
- All’art. 215 dopo il comma 2, inserire il seguente: «2-bis. Le decisioni del Collegio consultivo tecnico prevalgono su quelle eventualmente prese dalla Direzione Lavori»;
- Ove il CCT sia costituito e insediato, le riserve scritte dall’Appaltatore sul Registro di contabilità devono essere sottoposte a parere consultivo del CCT;
- All’art. 1, dell’Allegato V.2, eliminare il comma 5;
- All’art. 4, co.1, dell’Allegato V.2, eliminare il seguente periodo: «Ogni componente del Collegio consultivo tecnico non può ricoprire più di cinque incarichi contemporaneamente e comunque non può svolgere più di 10 incarichi ogni due anni».
Riteniamo che sia necessario reintrodurre l’anticipazione, pari al 20% del valore contrattuale, anche a favore dei professionisti e non solo per le imprese appaltatrici, come era già previsto dal previgente comma 18 dell’articolo 35 del Decreto 50/2016.
Questo perché, come per le imprese, anche per i professionisti lo svolgimento di un incarico comporta spese nell’immediato (pensiamo alla predisposizione di prove o all’esecuzione di rilievi e misurazioni o consulenze esterne), oltre ai meri costi di progettazione. Tali costi incidono negativamente sui flussi di cassa del professionista e sono compensati solo all’approvazione della relativa fase progettuale, evento che spesso può avvenire molto tempo dopo la conclusione della stessa a causa della necessità di ottenimento di diversi pareri da parte di enti a vario titolo coinvolti nell’opera.
La reintroduzione dell’anticipazione per i professionisti andrebbe solo a riequilibrare la bilancia economica per gli stessi, senza causare problematiche alle stazioni appaltanti in quanto l’esborso finanziario per l’anticipazione è già coperto dal bilancio dell’ente.