Architetti e Ingegneri – E’ giunta l’ora di scendere in piazza?

Considerazioni su i possibili scenari della libera professione

Come tutte le onde lunghe la crisi nel mercato planetario, innescata nel 2008 da vari fattori, sta frangendo con tutta la devastante potenza sul finire del 2010 e gli esiti li vedremo nei prossimi anni.

Per il “mondo” dell’edilizia italiana, da cui vi parlo, ciò è ancor più vero dato l’assunto macroeconomico che il ciclo produttivo del settore è tipicamente più lungo e le inerzie sono correlata anche al ruolo di “salvadanaio” comunemente assegnato agli immobili.

Più in generale per tutto il comparto dei servizi il 2010 rappresenta, almeno così si spera, il punto di minimo nella curva dei profitti, e proprio di profitti si deve parlare perché oggi si tratta di capire, al di là di tutte le dinamiche economiche, a quale livello di sopravvivenza possano assestarsi i liberi professionisti.

Proviamo insieme a fare una sintetica analisi, non vittimistica ma possibilmente oggettiva della situazione.

Secondo dati elaborati da fonti indipendenti il 2010 presenterà un calo dei fatturati variabile dal -16/-18 % nel comparto edilizia (-16.7% rispetto al 2008 secondo Federcostruzioni e -18% secondo il Cresme). Sempre gli stessi Istituti prevedono un rallentamento o meglio una timida ripresa nel 2011 che però troverà nel mondo delle professioni un parterre di competitors del tutto nuovo.

Infatti se si analizza l’andamento dell’accesso alla professione nel pari periodo (2008-2010) si può constatare una crescita del +12/+14 % degli iscritti e quindi proporzionalmente dei competitors.

Se i numeri non sono un’opinione la sovrapposizione di questi due trend oggettivamente presenta questo scenario: “Se nel 2011 vi sarà la ripresa degli investimenti comunque 1 professionista su 3 sarà di troppo!”

Ora in una previsione di questa dirompenza si impone qualche considerazione propositiva:

Le competenze – Nella storia recente è solo dal 2001 che attendiamo un riordino di quelle che dovrebbero essere le regole del gioco, non si chiede molto ma semplicemente si invoca una riforma che tutti i Governi, senza distinzione di parte politica, hanno sempre messo in cantiere ma mai iniziato realmente.

Parlare di competenze per i liberi professionisti, consapevoli della realtà, significa fare una “tabula rasa” di tutte quelle finte prerogative stratificate nei decenni, anche dalla nostra categoria, e ri-assegnare quelle vere attività riservate che sappiamo e dobbiamo esercitare. In sostanza noi stessi dobbiamo saper rinunciare a peraltro deboli vantaggi di posizione (Attestazioni, Certificazioni etc) e difendere con convinzione e rigore quelle competenze derivanti dai nostri curriculum universitari e dal nostro aggiornamento professionale.

L’Aggiornamento professionale – Proprio questo deve essere l’elemento innovativo con il quale sedersi ai tavoli di trattativa, non è infatti pensabile che nella moderna ingegneria si possa pensare all’auto-aggiornamento o peggio ancora all’abilitazione permanente.

Il bagaglio delle conoscenze va controllato in progress, gli ingegneri e gli architetti devono essere consapevoli ed accettare di sottoporsi a verifiche periodiche, solo così potremo assumere l’autorevolezza necessaria nel dialogo con le controparti.

L’accesso alla professione – Dai dati prima esposti emerge chiaramente che la libera-professione non può essere il libero-ambito in cui tutti si possono inserire senza quei requisiti di Competenza-Aggiornamento-Affidabilità che si conquistano con profondo impegno e determinazione.

Sia chiaro che non chiediamo banalmente di “chiudere i cancelli” ma di attuare politiche informative corrette e veritiere della reale situazione in cui versa il mercato delle professioni. Su questo assume un ruolo determinante l’Università e per essa la politica che la governa purtroppo incapace di fare serie indagini previsionali.

Ad oggi si trovano ancora statistiche, proposte da non menzionabili centri studi, che per l’ingegneria parlano di piena occupazione. Ciò è assolutamente falso e ingenera delle illusioni e aspettative che il mercato non può più sopportare.

I varchi di accesso potranno e dovranno essere posti quando le riforme didattiche si baseranno su verosimili fabbisogni occupazionali, avranno adeguato il livello formativo e avranno inserito un percorso abilitativo dignitoso.

Pur nell’ottica propositiva non si può ripercorrere nell’analisi i dati di fatto e i “mea culpa” che potremmo addebitarci.

  • Negli anni 1995-96 l’Antitrust dichiarò che le professioni erano un mondo protetto, non conforme alle regole del gioco, e soprattutto, parola magica, non in regola con le direttive comunitarie??.

Purtroppo non si riuscì a convincere che nel mondo reale delle professioni di protezionismo non si vedeva nemmeno l’ombra, e che il mercato andava conquistato di giorno in giorno.

  • Nel 1999 oltre alle affermazioni sulle barriere di ingresso alla libera professione si disse anche che le tariffe erano elemento di violazione della concorrenza e pertanto andavano totalmente eliminate. Purtroppo non si riuscì a convincere che le tariffe, almeno per le attività riservate, erano e sono un indispensabile strumento previsionale per stabilire, sulla scorta di precedenti esperienze, quale possa essere l’onere della prestazione.
  • Nel 1999-2000 uscirono una serie di ipotesi di riforma delle professioni che solo l’elencazione è un disturbo. La sensazione era che non di “riforma” si doveva parlare bensì una “rivoluzione” delle professioni si doveva fare. Purtroppo non si riuscì a convincere che le riforme vanno fatte migliorando quello che già c’è, attualizzando ciò che fuori tempo e inserendo ciò che manca.
  • Nel 2001, sul finire di una legislatura, si pensò bene di far entrare dalla finestra quello che dalla porta non entrava. Infatti con una legge pensata solo per generare il caos in termini di qualifiche e competenze si consentì di abilitare quelle lauree brevi a compiere mansioni progettuali che invece richiedono ben diversi background sia professionali sia culturali e tutto ciò per soddisfare false esigenze confindustriali. Il famigerato “328” ovvero l’ennesima incompiuta che va sotto il nome di Riforma dell’ordinamento universitario fu poi sonoramente punito dal mercato.
  • Nel 2006, l’azione demolitoria ha avuto il coronamento e con il “decreto Bersani” è riuscita a portare a compimento il disegno. Si è così arrivati alla prestazione semi-gratuita dove non si concepisce neppure l’esistenza di soglie di resistenza. Per la verità solo recentemente alcune Stazioni Appaltanti si sono rese conto che l’anomalia di certe offerte deve essere posta off-limits e considerata non ricevibile
  • Dal 2008 su tutto ciò è calata la scure della reale competizione globale che ha posto off-sides tutto il sistema paese, ponendo seri dubbi sulla sostenibilità del modello economico.

Non vorremmo che questo venisse interpretato come un vetero corporativismo quando invece si tratta della pura consapevolezza che l’assenza di regole generi solo un disordine dove tutti ci agiteremo per cercare di fare di tutto senza comunque migliorare le singole professionalità e conoscenze.

Quanto qui è esposto può essere condiviso o meno, ma quello che è certo deve essere analizzato e forse dovrà essere in seria considerazione l’ipotesi di “scendere in piazza” a manifestare tutto il nostro disagio.

Non saremmo i primi a farlo ma per noi sarebbe la prima volta.

Roberto Rezzola – Componente Comitato Nazionale Inarsind

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