Una legge di stabilità che destabilizza

(Alcune note a margine della recente “Legge di stabilità” riguardante, fra l’altro, la riforma degli ordini professionali e le società tra professionisti)

Leggendo l’art. 10 della Legge 12/11/2011 n. 183 (la legge di stabilità, ovvero l’ultimo atto del passato Governo Berlusconi) si percepisce come siamo ancora lontanissimi da una sostanziale ancorché efficace riforma delle professioni e come ormai si diverga vistosamente dall’abrogazione degli ordini professionali.

Se l’intento del legislatore era quello di favorire l’occupazione e creare nuove opportunità di lavoro liberalizzando l’accesso alle professioni, è del tutto evidente che chi ha scritto la norma poco o nulla sa di libere professioni e problemi connessi (almeno per quello che concerne gli architetti e gli ingegneri), avendo, di fatto, ridotto tutto ad una serie di buoni propositi e di generici enunciati: “… l’accesso alla professione e’ libero e il suo esercizio e’ fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista….(lett. a) comma 5 art. 3 Legge 14/09/2011 n.148)”: ma perché, prima com’era? Oltre ai buoni propositi ed agli enunciati, che a nulla giovano sul fronte del tentativo di creare nuova occupazione, il legislatore ha pensato bene di complicare ulteriormente la vita di quelli che questa occupazione cercano, ogni giorno, col coltello tra i denti, di mantenerla.

Alla lettera b) (stesso comma e stessa legge), infatti, viene introdotto “… l’obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, …. La violazione dell’obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale e’ sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale che dovrà integrare tale previsione”; ma noi a quest’obbligo, volenti o nolenti, consciamente o inconsciamente, assolviamo già: quale buon ingegnere o architetto libero professionista, infatti, riesce a stare per anni e anni sul mercato e ad acquisire e portare  a termine nuove commesse se non si sottopone ad un continuo aggiornamento sia sul piano tecnico che normativo? Adesso, molto probabilmente, saremo molto meno liberi nello scegliere come investire i nostri soldi in formazione. Si presenta, inoltre, il rischio della nascita di un deprecabile mercimonio della formazione, come avvenuto già in altri settori (dall’istruzione alla sanità), senza che si abbia un concreto beneficio per la categoria e per la committenza. Come se non bastasse, ora collezioniamo un ennesimo motivo di sanzione, dagli ordini! Relativamente al tema dell’aggiornamento e della formazione continua è auspicabile che i Sindacati delle Libere Professioni non siano esclusi dal novero dei soggetti ai quali ne è demandata l’organizzazione e la gestione e dalla emanazione dei relativi regolamenti che, per ora, la legge affida solo ai consigli nazionali degli ordini.

Ben venga il tirocinio (lettera c) comma 5 art. 3 Legge 14/09/2011 n.148), considerato il decadimento del livello di preparazione medio delle nuove leve (non per colpa loro, ma per lo scempio che hanno subito i corsi di laurea in seguito alla riforma che ha introdotto la laurea breve) e tenuto conto che l’università non può (e forse non deve) fornire la formazione “sul campo” necessaria per ben acquisire “il mestiere”. L’introduzione del tirocinio, a mio parere, costituisce anche un chiaro riconoscimento al bagaglio di cultura tecnica e di esperienza di cui sono depositari i nostri studi professionali e che va salvaguardato, mantenuto e tramandato.  Ma siccome “… Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. …”, viene naturale chiedersi quanti e quali studi professionali, oggi, sono in grado di dare (o avrebbero voglia di dare) un equo compenso ad un tirocinante (che andrà anche assicurato) per tre anni, sobbarcandosi gli oneri di trasferirgli un adeguato bagaglio conoscenze, evitando di “schiavizzarlo” destinandolo anche a incombenze e servizi che nulla hanno a che fare con l’ingegneria o l’architettura; questo considerando anche che, per almeno un anno, il tirocinante sarà del tutto improduttivo e che, molto probabilmente, dopo il tirocinio egli lascerà lo studio per diventarne un nuovo concorrente. Intendiamoci, sono fermamente convinto che è nostro compito partecipare alla formazione dei giovani colleghi, ma ciò non può avvenire totalmente a nostro carico, specialmente in un momento di grave crisi come quello attuale; la nostra categoria, a differenza di tante altre, non ha mai avuto concreti sostegni da parte dello Stato (che ha aiutato tutti, dalla Fiat ai Forestali), ma è sempre stata orgogliosamente (o forse ottusamente) silenziosa, provvedendo a se stessa, nei momenti buoni e in quelli cattivi, soggiogati da un livello di imposizione fiscale insostenibile, privati in maniera pesante delle commesse pubbliche a favore dei dipendenti della pubbliche amministrazioni, passando per evasori e per privilegiati, anche quando, di fatto, la gran parte di noi lavora da anni in condizioni di continuo e costante precariato, tutto questo senza mai incatenarsi ai cancelli delle Istituzioni, bloccare autostrade o ferrovie, interrompere servizi o urlare nelle piazze: sarebbe auspicabile che, finalmente, nel darci il giusto ruolo quali soggetti fondamentali nel completamento del percorso formativo di chi si avvia alla professione, ci venisse riconosciuto anche un supporto concreto (sia esso fiscale, economico, in termini di commesse o altro) e si favorisse, con adeguati incentivi, la permanenza, a fine tirocinio, dei giovani colleghi nello studio, contribuendo quindi a rafforzarne la struttura e, in definitiva, ad aumentarne la dimensione, senza crearne di nuovi e più piccoli,  cominciando così a far fronte ad una delle principali debolezze delle nostre realtà professionali, che è appunto la loro piccola dimensione. Sarebbe altresì auspicabile che la convenzione quadro, prevista dalla legge, sia stipulata non fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, come recita appunto la legge, ma fra le Associazioni di Categoria (Sindacati delle Libere Professioni) e il succitato Ministero. Diversamente da tutto ciò l’obbligo del tirocinio si trasformerà, nonostante i buoni propositi, in un concreto ostacolo all’accesso alla professione, proprio per una categoria, come quella degli ingegneri ed architetti, che non ne ha mai apposto alcuno.

E che dire sull’abrogazione delle tariffe professionali minime? Nella lettera d) comma 5 art. 3 della Legge 14/09/2011 c’era ancora, per fortuna, un timido richiamo alle tariffe professionali, che restavano il riferimento per la determinazione del compenso spettante al professionista: l’art. 10 della recentissima Legge 12/11/2011 n. 183 (comma 12), ha definitivamente cassato tale richiamo liberalizzando totalmente i compensi dovuti ai professionisti.

Però, di contro, siamo obbligati a tutelare il cliente stipulando idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività’ professionale (punto e) comma 5 art. 3 della Legge 14/09/2011), il nuovo regolamento del codice dei contratti pubblici (D.P.R. 207/2010) aumenta ulteriormente le già rilevanti responsabilità ed impegno nella redazione dei progetti per gli Enti Pubblici, l’obbligo dell’aggiornamento e della formazione continua è ormai sancito per legge, Inarcassa aumenta notevolmente i contributi previdenziali, tanto per citare le cose più recenti, ma l’elenco potrebbe continuare ancora.

Tuttavia, per come è formulata la lettera d) del comma 5 art. 3 della Legge 14/09/2011 n.148 così come modificata dal comma 12 della Legge 12/11/2011 n. 183, sembrerebbe che, quando il committente è un ente pubblico si ritornino ad applicare le tariffe, infatti, la legge emendata recita: “ … d) il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’ incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’ incarico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia …”. Al netto di possibili diverse interpretazioni, rimane il dubbio circa il perché non sia stato lasciato il testo nella sua formulazione originale, che prevedeva in generale il riferimento alle tariffe, ne si comprende perché ci si debba attenere alla tariffa per l’ente pubblico e non per il committente privato.

Dopo il varo della Legge 14/09/2011 n. 148 e della Legge 12/11/2011 n. 183 gli ordini professionali, ben lungi dall’essere abrogati, escono rafforzati in quanto oltre ai compiti istituzionali usuali, saranno investiti dalla regolamentazione e gestione della formazione continua, del tirocinio e avranno nuove emanazioni territoriali destinate alle questioni disciplinari, infatti la lettera f) comma 5 art. 3 della Legge 14/09/2011 recita: “… gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. … “.

Nessun cenno ai Sindacati delle libere professioni.

E’ singolare come in un momento in cui la categoria delle professioni liberali avrebbe bisogno di un sostanzioso sostegno, si promulga una legislazione che di fatto introduce solo nuovi obblighi e nuove sanzioni e che appare totalmente sbilanciata a favore della committenza senza minimamente preoccuparsi della reale situazione dei liberi professionisti e della sostenibilità della loro attività; è altresì sconcertante come, soltanto con un unico articolo e parte di un comma di un altro, si mettano in unico calderone professioni le più disparate: ingegneri, architetti, notai, farmacisti, commercialisti, avvocati, periti, maghi, chiromanti ecc., salvaguardando solo le professioni sanitarie.

Cenno a parte andrebbe fatto sui commi da 3 a 10 dell’art. 10 della Legge 12/11/2011 n. 183, riguardanti le società tra professionisti. Il comma 4 prevede che nelle società tra professionisti sono ammessi in qualità di soci, oltre ai professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, anche soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento: tale comma 4 è di portata notevole, infatti esso introduce la possibilità di far entrare il capitale nelle società tra professionisti.

Ora, considerato che probabilmente la maggiore debolezza dei nostri studi professionali è proprio la loro piccola dimensione, l’avvento del capitale potrebbe fornire quella forza propulsiva mancante necessaria per farli crescere, creare maggiori opportunità di lavoro e aumentare l’occupazione. Potrebbe quindi nascere un connubio positivo tra i padroni del vapore e i padroni del sapere, purché i primi non abbiano posizione dominante e i secondi mantengano la più ampia indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica; questo può avvenire soltanto mettendo su un piano superiore il valore del sapere rispetto a quello del danaro, ovvero, più pragmaticamente, imponendo che la maggioranza delle quote societarie sia sempre e comunque in mano ai soci professionisti e rimanga esclusivamente a questi la gestione delle scelte tecniche, progettuali e su tutto quello che afferisce all’esercizio della professione. Anche la possibilità di costituire società che operano in attività professionali diverse, prevista dal comma 8, può essere una nuova opportunità per la crescita degli studi.

Considerata la gravità dell’attuale congiuntura economica non penso ci si possa aspettare nulla dal presente governo Monti, in ben altre faccende affaccendato, ma la Legge 14/09/2011 n. 148 impone che gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi per recepire i principi da essa dettati: facciamo si che gli ingegneri e architetti liberi professionisti non rimangano alla finestra  ma siano pienamente partecipi di tale riforma, ricordando che la stabilità è assicurata solo quando le azioni agenti sono equilibrate da quelle resistenti.

Adriano Butera

(INARSIND CZ)

 

 

 

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